PADRI DOMENICANI

 
Il 12 luglio 1414 una commissione di cercesi, costituita dall’arciprete e da alcuni rappresentanti della popolazione, chiese all’arcivescovo di Benevento Donato d’Aquino, dei principi di Grottaminarda, l’autorizzazione ad erigere sul posto dove due anni prima era avvenuto il ritrovamento della gloriosa statua della Libera, nascosta dalla pietà dei fedeli per evitarne la distruzione dai feroci e terribili iconoclasti, una cappella ed un convitto.
L’episodio del ritrovamento si poneva, stando agli estensori della petizione, all’origine di tutta una serie di avvenimenti ritenuti prodigiosi dalla voce comune, avvenimenti che avevano avuto una vasta risonanza tanto da far affluire sul posto moltitudini di persone da Cercemaggiore e dai paesi limitrofi, il che indusse gli autori della lettera a dare per scontata la conoscenza dei fatti («Essendo note et notorie per tutta la contrada e terre circonvicine il ritrovamento della gloriosa statuetta della Libera […] ed essendosi visti molti ed evidenti miracoli, i cittadini […] ed i circonvicini accorrono»).  
 
A rendere possibile la donazione del piccolo Santuario ai padri domenicani fu il passaggio nel 1478 del feudo di Cercemaggiore, bene dotale di Giovannella di Molise, al marito Alberico Carafa, erede del potente zio Diomede Carafa, legato alla monarchia aragonese e grande amico dei domenicani di Napoli. Non è escluso che questi ultimi si recassero al Santuario della Libera fin dal 1478.
Fu però solo con la Bolla “Venerabilis Frater”, datata 18 dicembre 1489, che Papa Innocenzo VIII, accondiscendendo al desiderio della famiglia Carafa, affidò la cura del Santuario ai padri domenicani, i quali ne sono ancora i fedeli custodi.
Un documento del 5 gennaio 1495 del re Alfonso II attesta che in due anni, grazie alla generosità del ricco barone napoletano e di sua moglie, i religiosi riuscirono a costruire, annesso al santuario, l’annesso convento.  
 
L’insediamento dei domenicani a Cercemaggiore, nel Quattrocento, probabilmente si deve anche all’affermarsi della riforma, bisognosa di nuovi insediamenti e non contraria a luoghi che avrebbero potuto favorire la povertà ed il raccoglimento.
Prima di allora la comunità domenicana non poteva vantare significativi insediamenti nelle località minori del Sannio, tanto meno nell’Alto Sannio. I Conventi eretti nelle zone più vicine a Cercemaggiore, infatti, erano quelli di Foggia e Atessa, fondati nel Duecento, quelli di Lucera , Troia e Piedimento d’Alife, fondati nel Trecento, e quelli di Castel di Sangro, S. Maria a Vico, Pontelatone, Pietravairano, Ariano, fondati nel Quattrocento.
Di poco posteriori, invece, furono il Convento di Isernia fondato nel 1494 e quello di S. Maria a Taburno (Airola) risalente al 1498.  
 
Il 15 febbraio 1650 la comunità cercese dei padri domenicani era costituita da 19 “affiliati” di cui 6 sacerdoti, 2 studenti professori, 8 novizi (di cui 3 conversi), un oblato. Nel tempo la comunità aumentò di numero, tanto che il catasto conciario voluto dal re di Napoli Carlo di Borbone, compilato a Cercemaggiore tra il 1741 e il 1748, fece contare 25 religiosi, e si rese pertanto necessario ampliare la struttura costruendo un’altra ala del convento.  
 
Il convento, oltre a rappresentare un importante faro di spiritualità, provvedeva anche ai bisogni della comunità cercese: dal 1650 fino ai primi dell’800 i padri domenicani hanno gestito una farmacia o spezieria per soccorrere poveri, ammalati e bisognosi di cure.  
 
Nell’800, a seguito del decreto di soppressione di tutti gli ordini religiosi esistenti nel regno di Napoli emanato da Gioacchino Murat il 7 agosto 1809, la comunità domenicana cercese venne dispersa. A custodire la chiesa rimasero solo due frati: P. Ignazio Fallace e il fratello laico Feliciano Pedicino di S. Giuliano del Sannio.
Nel 1812 i padri domenicani persero anche i beni ed i possedimenti che il governo donò ad un alto funzionario governativo, il Turgis. Alla morte di quest’ultimo Vincenzo Rocca, arciprete di Cercemaggiore e poi vescovo di Larino, fece restituire il convento ai domenicani, i quali nel maggio del 1821, ritornarono e ripresero a pieno titolo il convento della Libera aprendovi subito anche una scuola. Nel 1861 un decreto di soppressione colpì il convento. Il superiore dell’epoca, P. Gaetano Capasso, riuscì a dimostrare che il convento era di proprietà comunale e quindi non era possibile che il demanio si impossessasse della struttura conventuale.  
 
Nel periodo tra il 1943 ed il 1944, a causa della guerra e dei continui bombardamenti, il convento ospitò  molti frati provenienti da Napoli e da tutto il Sud Italia.
Dal dopoguerra il Convento S. Maria della Libera è rimasto luogo ospitale e aperto alle sfide della nuova evangelizzazione grazie alla presenza di una piccola comunità di padri domenicani che, oltre a prestare il servizio al Santuario, curano momenti di incontro e di spiritualità. Il loro legame con la comunità di Bari e di Atene, dove hanno una missione, permette di aprire continui spazi di dialogo ecumenico con l’Oriente.  
 
Il Convento di S. Maria della Libera ha accolto uomini di grande scienza teologica, padri predicatori insigni per zelo e santità, e per sei secoli si è distinto perché, nonostante le difficoltà dovute alla drastica riduzione di numero della comunità domenicana cercese, la sua viva presenza ha rappresentato a lungo uno dei principali poli domenicani attivi in Italia.   Nell’ottobre del 2017 il Convento, lasciato dai Padri Domenicani, è divenuto dimora dei frati della Comunità Maria Stella dell’Evangelizzazione.
 
 
BIBLIOGRAFIA: Enrico Narciso, Religiosità e Territorio nell’Appennino dei Tratturi, Istituto Storico “Giuseppe Maria Galanti” di Santa Croce del Sannio (BN), 1997; SITOGRAFIA: http://www.giubileo.molise.it, sito realizzato nell'ambito del progetto "Rete integrata di servizi al territorio dedicata al Giubileo" cofinanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio Grandi Eventi e dalla Provincia di Campobasso
 
 
 
 
SERIE DEI PRIORI E SUPERIORI DEL CONVENTO
Fino al 1923 riprendiamo i dati offerti dal Pierro, con lievi aggiunte. Per il resto, ci siamo documentati direttamente. Per l’epoca anteriore al 1923 resta valido quanto scrive l’Autore ora menzionato: «La serie è incompleta sino all’anno 1624, e per molti Priori, l’anno sotto cui vengono designati non è quello dell’elezione, ma solamente indica il tempo in cui si trovano citati nei documenti. Da quell’anno 1624, sino alla fine, la serie è quasi completa e sicura».
Da notare che il titolo di Priore è costante per l’epoca che va fino al 1865. Da quell’anno in poi compare anche il titolo di Presidente (= vicario), titolo sostituito nel ’900 da quello di Superiore o di Vicario.

Allegato⁄i
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