Opere - Santuario

Opere in pietra

Il portale e la chiesa

14-cercemaggiore-santuario s maria della libera portale ingresso_hidLa facciata della chiesa di Santa Maria della Libera conserva dell’aspetto originario solo il portale in pietra di epoca rinascimentale, che è ancora intatto anche se molto corroso dal tempo. Il portale è molto semplice, con stipiti che nascono da cornici modanate e culminano con capitelli a doppia voluta con rosetta in quella superiore. Lungo gli stipi e sull’architrave è una fila di perline, ai margini degli stessi un’ampia fascia aggettante decorata a ovuli preceduta da una fila di ovuli e listelli. Sull’architrave corrono due iscrizioni di cui quelle superiore, al di sopra della cornice di ovuli, è molto abrasa e riporta la data del rinvenimento della statua della Madonna della Libera, ossia il 1412; quelle inferiore si trova al centro dell’architrave e riporta la data 1500, da riferire alla costruzione della chiesa. Sopra una cornice aggettante decorata a dentelli c’è la lunetta, contornata da ampia cornice che riprende il motivo degli ovuli e delle perline degli stipiti; nella lunetta l’immagine del Buon Pastore è un mosaico recente.
La chiesa è a pianta rettangolare (m 37x12,54) ed è il risultato di una serie di interventi e rifacimenti che si sono susseguiti nel corso del suo mezzo millennio di vita. L’interno è una navata unica che si articola in cinque cappelle per lato; il presbiterio era chiuso da una balaustra in pietra, ora eliminata; dietro l’altare, nell’abside, è collocato il bel coro ligneo, che fino agli ultimi decenni del secolo scorso presentava un numero 1-cercemaggiore-santuario s maria della libera facciata_hiddi stalli maggiore, poi eliminati per lasciare maggiore spazio attorno all’altare. La crociera è sormontata da una falsa cupola ovoidale; sull’archivolto dell’abside agli inizi del Novecento fu realizzata la croce a rilievo, contornata da modeste pitture che raffigurano angeli. Quando divenne priore padre Gaetano dei Conti Capasso, nel 1858, la chiesa subì radicali trasformazioni; l’originaria copertura in legno fu eliminata proprio in quell’anno per essere sostituita dalla volta a botte che si vede attualmente; in quella stessa occasione i pilastri furono rinforzati e i capitelli che li coronano furono anch’essi ingrossati. Anche sotto il priorato di padre Giordano Pierro, dal 1917 al 1924, furono eseguiti molti lavori e attuate molte trasformazioni. La facciata della chiesa fu interamente ridisegnata da Antonio Pierro di Saviano; venne scandita in tre parti e ricevette tre statue di cemento raffiguranti la Madonna della Libera sul colmo del tetto, lateralmente San Domenico da un lato, San Vincenzo Ferrer dall’altro. Tutto questo fu eliminato negli anni Settanta del secolo scorso, quando la facciata ricevette il rivestimento di lastre che fu poi rimosso nella campagna di lavori del 2011-2013, nei quali si decise di riproporre lo schema della facciata del 1920.

Le acquasantiere

3-cercemaggiore-santuario s maria della libera acquasantiera di destra_hidIn corrispondenza delle prime due cappelle, quella di destra e quella di sinistra, si trovano due acquasantiere di pregio. L’acquasantiera collocata a sinistra si data grossomodo nel Cinquecento, ma, nota Stefano Vannozzi, essa risulta composta da “elementi disomogenei, e più antichi (in parte provenienti dall’antica farmacia)” e nasce da una base ornata di volute; la vasca è decorata all’esterno da ovuli mentre all’interno presenta a rilievo due serpenti e tre pesci, rispettivamente simboli del Male e del Bene, quest’ultimo invano insidiato dal primo. Quella collocata a destra è una bella vasca decorata con teste di leoni e reca incisa sul bordo la data della sua realizzazione, il 1555, accompagnata dal nome del priore del tempo: Giovanni De Cammis di Gaeta. Ad approfondire lo studio di quest’ultima acquasantiera è stato lo stesso Vannozzi, il quale ha evidenziato come le tre teste che Pierro e Miele definiscono “cherubini”, sono invece teste di leone. La presenza di bocche di sfiato e di un foro centrale, il fatto, inoltre, che l’iscrizione corre lungo tutto il bordo, fanno presupporre la sua originaria collocazione all’aperto e in una posizione tale da essere visibile tutto intorno. Si tratterebbe, insomma, proprio della fontanella che era collocata fino all’ultimo dopoguerra nel piazzale della chiesa, al centro di una vasca più grande.    
 



Altare maggiore

L’altare maggiore è in marmo policromo in stile barocco; venne costruito alla fine del Seicento e fu consacrato dal Cardinale Vincenzo Maria Orsini (futuro papa Benedetto XIII) il 10 ottobre 1699, come riporta l’iscrizione latina. Lo sportello del tabernacolo si data anch’esso alla fine del Seicento, è d’argento sbalzato e 4-cercemaggiore-santuario s maria della libera altare_hidcesellato e raffigura San Tommaso d’Aquino. Il Santo è mostrato di prospetto, con una spada nella mano destra, forse da riferirsi alla sua strenua difesa della religione cristiana contro le altre confessioni religiose e le dottrine avverse al pensiero cristiano, e l’ostensorio sollevato con la mano sinistra, allusione all’incarico ricevuto da papa Urbano IV riguardante la scrittura della liturgia e degli inni per la festa del Corpus Domini, allora appena istituita (8 settembre 1264); sul petto del Santo è stampato un sole raggiato, attributo che dovrebbe derivare dalle sue visioni mistiche. San Tommaso (Roccasecca d’Aquino, 1220/27 – Abbazia di Fossanova, 7 marzo 1274), nato da famiglia nobile, entrò nell’Ordine dei Frati Predicatori dopo anni di studio presso l’abbazia di Montecassino e contro il parere dei familiari. Fu un energico difensore della fede cristiana e un illuminato e prolifico scrittore di opere teologiche, tanto che nel 1567 papa Pio V gli concesse il titolo di Dottore della Chiesa. L’opera cercese che ne reca l’immagine stilisticamente può essere ricollegata alla produzione campana e fu eseguita da un argentiere napoletano di cui è ignoto il nome. A sovrastare l’altare monumentale del santuario di Cercemaggiore, custodendo la preziosa statua lignea della Madonna della Libera, è la teca di produzione tardo novecentesca, solennemente benedetta il 2 ottobre 1981. La sacra effige è inquadrata da un semplice sistema decorativo con due finti pilastri laterali sorreggenti capitelli ionici, a loro volta sormontati da un architrave liscio; la nicchia interna, nella quale è posta la statua, è riempita da un motivo monocromo a mosaico costituito da tessere dorate.
 

Leoni ai lati dell’altare maggiore

5-cercemaggiore-santuario s maria della libera leone in pietra_hidSono sicuramente anteriori alla costruzione della chiesa, e forse provenienti dalla primitiva chiesa di Santa Maria a Casale, i due leoni stilofori (destinati a sorreggere colonne) che sono collocati ai lati dell’altare maggiore, a completamento della balaustra che un tempo si trovava qui. Essi erano probabilmente pertinenti ad un antico pulpito, analogo, ad esempio, a quello che ancora si conserva nella chiesa di San Germano a San Giovanni in Galdo, oppure ad un portale d’ingresso. I due leoni presentano il busto e le zampe in posizione perfettamente frontale, mentre le teste, compiendo una torsione laterale, sono specularmente rivolte l’una verso l’altra; folte criniere, bocche digrignanti e un’espressione tra il feroce e il grottesco ne caratterizzano l’aspetto, completato da un tornito elemento decorativo tenuto tra le zampe. Le due sculture si datano tra la fine del XIII ed il XIV secolo.   
 

Lapide di Alberico Carafa

La lapide di Alberico Carafa, fondatore del complesso conventuale (morto secondo il Pierro nel 1501, mentre altre fonti riportano la data 1504), era murata nella quinta cappella di sinistra, indicando là dove venivano custodite le ceneri del suo cuore. La sepoltura fu purtroppo violata nel 1694, per essere poi ricomposta a seguito di alcune insistenti lamentele. In un manoscritto del 1719, opera di P. Giuseppe Pellegrino da Fragneto, che ebbe modo di consultare l’archivio conventuale oggi disperso, si legge infatti che: «Il piissimo Alberico Carafa, se avesse potuto offrire al Convento altro, ben volentieri lo avrebbe fatto: Anzi, perché non poté altro, donò il suo cuore, ordinando che, quando fosse passato a miglior vita, non potendosi trasferire tutto il suo corpo, almeno si fosse portato nella Chiesa il cenere del suo cuore; e così in effetti si fece. Tutti gli abitanti di Cercemaggiore asserirono aver veduto il sepolcro di marmo che stava sollevato in alto, sul muro, con le armi della Casa Carafa, e si dava per certo essere ivi riposto il cuore di Alberico». L’autore stesso dice di aver letto l’epitaffio del Carafa nell’anno 1694, ma che il Priore di quel tempo, fatto aprire il sepolcro e trovato al suo interno solamente un vaso contenente un mucchietto di polvere, svuotò il recipiente, che fu poi adoperato per attingere acqua. L’episodio fu ovviamente sgradito a molti, che vedevano così cancellata un’importante memoria del benefattore dell’Ordine domenicano e del popolo cercese. Il Pierro nella sua “Storia del Santuario e del Convento S. Maria della Libera in Cercemaggiore” aggiunge però che: «Le giuste lagnanze sortirono buon effetto, perché il P. M. Urbano Maselli fece riporre il vaso con il cenere dove era, nonché la lapide». 
La lapide di Alberico Carafa (dispersa nel 2007, rintracciata nell’agosto 2017 in locali conventuali di deposito e ricollocata sulla controfacciata della chiesa conventuale), così recita:
D.O.M. / ADPERPETUAM [ILL.MI AC PIISSIMI DOMINI] / ALBERICI CARAFA [ARIANI DVCIS] / MEMORIA. INCENDENTIS CATVLI DO- / MINICANI PROSAPIA. / HIC MEIS TVARVM ÆDIVM SACRA PROGENIES FLAMMIS / OLIM EXVSTVM COR CONDITVR, CONDITORIS, / CONGRVENTER NVNC CINIS CERNIMVS / CENSIBVS / NEQVAQVAM SVB IPSVM DVM POTIVS DILECTI- / ONIS AFFECTV, QVAM CORRVPTIONIS EFFE- / CTV CINIS EXTAT MEMORABILIS MEMORIA / SVFFRAGIORVM ETIAM INSTARE.
L’iscrizione è così traducibile: A DIO OTTIMO MASSIMO. A PERPETUA MEMORIA DELL'ILLUSTRISSIMO E DEVOTISSIMO SIGNORE ALBERICO CARAFA, DUCA DI ARIANO. LA STIRPE DEL CAGNOLINO DOMENICANO CHE DA' FUOCO AL MONDO. QUI E'  SEPOLTO IL CUORE DEL FONDATORE, UN TEMPO ARSO DALLE MIE FIAMME, SACRA DISCENDENZA DEL TUO TEMPIO. ORA, RIDOTTO IN CENERE, CONVENIENTEMENTE AL SUO LIGNAGGIO, IN NESSUN MODO VEDIAMO IL SUO CUORE ESSERE ACCANTO AD ESSA, FINCHÉ LA CENERE RESTA DEGNA DI MEMORIA PIÙ PER IL SENTIMENTO CHE DERIVA DALL'AMORE CHE PER IL RISULTATO DELLA CORRUZIONE. INVITA PRESSANTEMENTE ANCHE IL RICORDO DEI SUFFRAGI.
(Si ringraziano lo studioso Stefano Vannozzi, che ha gentilmente fornito la minuziosa e fedele trascrizione della lapide del Carafa, e i PP. Domenicani del convento San Domenico Maggiore a Napoli, Michele Miele e Carmelo Salemme, per la loro cortese e accurata opera di traduzione del testo latino)  
 

Il campanile

Il campanile, a pianta quadrata, fu realizzato nel 1503; stando a quanto riferito da Pierro, fino al 1768 era “circondato da un maestoso cornicione di pietra, 7-cercemaggiore-santuario s maria della libera campanile_hidabbattuto in seguito per alzare il tetto della sagrestia, e che portava l’iscrizione: Anno Domini MDIII Regnante D. Ioanne Francisco Carafa Duce Ariani” (Giovanni Francesco Carafa era il figlio primogenito di Alberico Carafa, fondatore del complesso). Parte del cornicione stondato si può vedere in un piccolo ambiente tra la sagrestia e il coro. Tre le campane che risuonano dal campanile del santuario: la campana di dimensioni maggiori risale al 1782, la più piccola è del 1828, mentre la media è del 1902 e fu donata dai cercesi in America, come recita l’iscrizione dedicatoria.   
 
 

Testa in pietra alla base del campanile

8-cercemaggiore-santuario s maria della libera antico volto apotropaico_hidAlla base del campanile, nella stanza che funge da anticamera alla sacrestia e su cui si apre il portoncino che porta nello stesso campanile, si vede una testa ad altissimo rilievo; si trova sul primo scalino della scala in pietra che porta sul campanile, sul lato breve. Si costituisce di un volto circolare all’interno del quale sono sommariamente segnati occhi, naso e bocca ed è molto rozza, risalente probabilmente ad epoca altomedievale. La difficoltà di una sua precisa e sicura collocazione cronologica è comunque testimoniata dalla varietà di proposte di datazione, che spaziano dall’epoca altomedievale fino ad un periodo compreso tra XIV e XVI secolo.  
 
 
 

Iscrizione latina sul campanile

Sul muro del campanile, nella parte che dà nella sacrestia, si trova murato, capovolto, un cippo funerario di epoca romana; è datato al II secolo d.C. e rappresenta una delle testimonianze più antiche della presenza dell’uomo in queste zone: il suo luogo di provenienza, difatti, che non doveva trovarsi molto lontano dal santuario, oltre ad attestare la presenza di una sepoltura, documenta anche la probabile esistenza di un’azienda agricola, di proprietà dei Manlii, gestita mediante famiglie di schiavi.   L’iscrizione corre su dodici righi ed è la seguente:
Dis Manibus
Sacrum

(Z)osimo Manliae
(F)adillae disp.
(Iul)ius Manlius Phileros
et Manlia Montana
(pa)ter et mater infelicis
(sim)i item Zosime et Solo
(fr)atri et Diocles filius

…imi fecerunt

(vix)it annis XXII mensi
(bus) VII diebus (X?)XI
.
La dedica funebre è per Zosimo, che era vissuto 22 anni, 7 mesi e 21 (?) giorni, come dicono gli ultimi due righi. Dedicatori del sepolcro sono il padre Giulio Manlio Filero, e la madre Manlia Montana, infelicissimi; inoltre la dedica viene fatta da Zosima e Solone al fratello, e dal figlio Diocle. Zosimo era Dispensator, ossia cassiere, di Manlia Fadilla, attività che svolgeva sicuramente in uno stato servile; tutta la sua famiglia era di origini servili, come stanno ad indicare i loro nomi. Per quanto riguarda la famiglia di appartenenza, si tratta dei Manlii, famiglia presente soprattutto in Italia centrale, in modo particolare a Telese, mentre ad Alife è documentato il cognomen Fadilla. I dispensatores, che svolgevano la loro attività sia per lo stato e i municipi sia per le famiglie private, erano sempre schiavi ma erano tenuti in grande considerazione, a differenza degli altri.        

Tele

Olio su tela: Sant’Agata, Santa Lucia e Sant’Apollonia

10-cercemaggiore-santuario s maria della libera olio su tela santagata santa lucia e santapollonia_hidIl quadro è collocato nella quarta cappella a destra e fu realizzato probabilmente verso la fine del Cinquecento. Si tratta di un’opera notevole, di gran pregio, la cui efficacia si basa sull’articolazione verticale delle tre figure affiancate, sulla delicatezza dei lineamenti delle tre Sante e sulla gradazione dei colori. Le tre Sante hanno in mano la palma del martirio, simbolo di gloria, sotto ciascuna sono le iniziali del nome. Al centro è Santa Lucia, con l’attributo della coppa in cui sono le pupille, essendo ella popolarmente considerata protettrice della vista; veste una tunica dorata e un mantello azzurro. A sinistra è Santa Apollonia, la protettrice contro le malattie dei denti, che solleva con la destra la tenaglia che stringe un dente. A destra è Sant’Agata, con una tunica azzurra e manto dorato, che sorregge nella mano sinistra la tenaglia con una mammella, in riferimento ad uno dei supplizi cui fu sottoposta: lo strappo dei seni con le tenaglie.   
 

Olio su tela: Madonna dell’Arco con S. Maria Maddalena, S. Caterina. S. Giacinto. S. Rosa

9-cercemaggiore-santuario s maria della libera olio su tela madonna dellarco con s maria maddalena s caterina s giacinto s rosa_hidIl quadro, oggi collocato nella quinta cappella a destra, un tempo era posto nella terza cappella, dove oggi troviamo la statua di San Biagio. Il dipinto mostra al centro la Madonna dell’Arco seduta su un trono che nasce da una nuvola; veste una tunica rossa con mantello azzurro che le copre la testa. Ha in braccio il Bambino, nudo, che posa la mano sul mappamondo. Nel registro superiore due angeli con veste rosa e azzurra incoronano la Madonna, di lato altri angeli fra le nuvole. Nel registro inferiore sono, a sinistra, in primo piano San Giacinto, dietro Maria Maddalena; a destra Santa Rosa, dietro la quale è Santa Caterina d’Alessandria. L’opera fu realizzata nel 1687 da Nicola Fenico di Campobasso, lo stesso autore dell’affresco dell’Ultima Cena nel refettorio del convento. La cornice di legno dorato fu fatta nel 1691.  
 
 
 



Olio su tela: Madonna del Carmine, S. Francesco e S. Caterina; in basso Francesco Marcucci. Intorno: formelle con la vita dei due Santi

Il grande dipinto, olio su tela, che misura 350 x 235 cm, è ora collocato nella cappella immediatamente a sinistra dell’altare maggiore, la quinta per chi entra, ma la sua posizione originaria era nella prima cappella a sinistra. La tela rappresenta il busto della Madonna del Carmine, con manto azzurro stellato che copre anche la testa; in braccio ha il Bambino, con vestitino bianco, che si aggrappa al suo collo; la figura sorge da una nuvola su cui sono raffigurati teste di angioletti, in alto due angioletti ai due angoli incoronano la Vergine. In basso, ai lati, sono San Francesco d’Assisi a sinistra, Santa Caterina da Siena a destra; il primo, di tre quarti, indossa il saio, volge in alto la testa e regge nelle mani un crocifisso, ha i piedi nudi su cui si vedono le stimmate, presenti anche sulle 11-cercemaggiore-santuario s maria della libera olio su tela madonna del carmine s francesco e s caterina in basso francesco marcucci intorno formelle con la vita dei due santi_hidmani. Santa Caterina è invece raffigurata in pieno prospetto, con il vestito tipico delle “Mantellate”, le suore del Terzo Ordine delle Domenicane, con mantello nero sulla tunica bianca; ha nella mano sinistra il libro rosso delle Sacre Scritture mentre con la destra solleva il giglio, simbolo di purezza, e il crocifisso. Sulle mani sono le stimmate, mentre i piedi sono calzati. In basso al centro è raffigurato il busto di una figura maschile con lungo pizzo, con vestito nero coronato da ampio colletto bianco arricciato, con le mani in atto di preghiera. Si tratta di Francesco Marcucci, il quale nel 1611 volle far costruire tale cappella perché ospitasse la sua sepoltura, e commissionò anche la tela della Madonna del Carmine ad un pittore di Capua, Sebastiano Pascale, che la firmò datandola al 1612. Data e firma sono apposte sul cartiglio in basso a destra. Sullo sfondo, tra i due Santi, al di sopra della testa di Francesco Marcucci, si scorgono degli edifici che Pierro identifica con una “casa campestre che con molta probabilità è il Casino del Marcucci”.  Sembra, però, che il pittore abbia voluto raffigurare non la casa del committente ma il convento di Santa Maria della Libera, di cui si vede con sufficiente chiarezza il campanile a destra; si vede anche la facciata della chiesa, naturalmente molto diversa da come si presenta attualmente, semplice, con tetto a doppio spiovente e piccolo campanile a vela situato sul colmo, mentre posteriormente sembra di scorgere con evidenza una vera e propria cupola. Una distesa bianca rettangolare, resa prospetticamente, potrebbe rappresentare l’antico orto del convento. La tela è contornata da tredici formelle racchiuse in cornice dorata, di cui dodici raffigurano scene della vita di San Francesco e Santa Caterina. La tredicesima formella, al centro in alto, raffigura un leone rampante che sorge dalle onde, con in mano il libro, al di sopra una stella: si tratta dello stemma della famiglia Marcucci. A sinistra dello stemma si sviluppano le sei formelle dedicate alla vita di San Francesco. La prima raffigura il Santo di tre quarti, inginocchiato su una roccia (il Monte della Verna, presso Arezzo, dove due anni prima della morte ricevette le sacre stimmate) con le braccia sollevate, da una nuvola rossa su cui campeggia una croce partono i cinque raggi che stanno segnando le stimmate alle mani, ai piedi e al costato. Nella seconda, all’angolo sinistro del quadro, è raffigurato uno dei miracoli del Santo: seduto ad una tavola con tovaglia bianca, benedice un bambino che una giovane donna gli porge nudo su un vassoio. Segue la scena in cui il Santo, su una biga trainata da cavalli bianchi, ascende al cielo mentre in basso i suoi frati pregano ed esultano inginocchiati. Nella formella successiva San Francesco sta guarendo un malato benedicendolo. Segue la scena di San Francesco e alcuni suoi frati sono seduti a mensa mentre un angelo dall’alto di una nuvola serve loro il pane. L’ultima formella, la prima in basso a sinistra, raffigura il momento in cui Francesco, tolti gli abiti, è davanti al vescovo Guido che, con in mano il bastone pastorale, lo sta benedicendo mentre seminudo gli sta inginocchiato davanti e gli porge i vestiti; sullo sfondo una figura femminile ed una maschile con barba bianca stanno a raffigurare i genitori di Francesco. Le sei formelle opposte presentano, la prima, Santa Caterina inginocchiata davanti a un altare mentre riceve le stimmate. Segue la formella d’angolo dove la Santa si inginocchia davanti a Gesù, nella formella successiva ascende in cielo su una nuvola, con Gesù di lato. Segue la scena della guarigione di una indemoniata, in quella successiva la Santa sta inginocchiata mentre due frati domenicani le portano gli abiti da terziaria che avrebbe indossato da allora in poi. La prima formella in basso a destra raffigura la Santa, ancora bambina, sollevata da due angeli all’interno di una casa.    
 

Olio su tela: S. Pio V, S. Raimondo di Peñafort, S. Ludovico, S. Biagio, S. Vito

La tela si trova collocata nella prima cappella a sinistra che un tempo era dedicata alla Madonna del Carmine. L’autore del quadro è Nicola Fenico, lo stesso che realizzò l’affresco dell’Ultima Cena nel refettorio del convento e la tela della Madonna dell’Arco collocata nella quinta cappella a destra del santuario; il pittore campobassano la realizzò nel 1686; la “maestosa cornice di legno, con pilastri e capitelli corintii, placcati d’oro finissimo, del 1705”, come dice Pierro, è ora sostituita da una più semplice cornice di legno dorato. Si tratta di un’opera di notevole pregio: al centro campeggia San Pio V con piviale, tiara e pastorale, 12-cercemaggiore-santuario s maria della libera olio su tela s pio v s raimondo di penafort s ludovico s biagio s vito_hidseduto su trono che sorge da tre gradini coperti da tappeto rosso; sullo sfondo architettonico si vede una serie di nicchie. Ai lati del Santo papa vi sono quattro personaggi. In primo piano a sinistra è San Biagio con piviale, mitra e pastorale, mentre in mano ha il libro e il pettine di ferro dei cardatori (con il quale fu suppliziato); a destra è San Vito che regge con la mano sinistra il guinzaglio cui è legato un cane accovacciato. L’attributo del cane sembra avere molteplici spiegazioni, indicanti in San Vito il protettore contro i morsi del cane rabbioso o nel cane la rappresentazione simbolica della fedeltà di Vito verso il Cristo; la spiegazione più complessa presenta San Vito, festeggiato il 15 giugno, come il custode della stagione estiva, protettore contro il pericolo della siccità e garante di un abbondante raccolto. In secondo piano, dietro le figure di San Biagio e di San Vito, sono raffigurati due Santi spagnoli in abiti domenicani: San Raimondo di Peñafort a sinistra, con in mano due chiavi, e San Ludovico Beltrán a destra, con la mano benedicente e lo sguardo rivolto ad un calice dal quale spuntano tre serpenti. San Ludovico, noto anche come Luigi e vissuto nel Cinquecento, secondo la tradizione avrebbe subito un tentativo di avvelenamento uscendone miracolosamente illeso; nella tela cercese, pertanto, i serpenti incarnerebbero il mortale pericolo incorso e l’insidia del peccato. Appare invece più ardua la spiegazione della presenza tra le mani di San Raimondo delle due chiavi, attributo che compare anche in altri ritratti del Santo. Nato verso il 1175 e morto nel 1275, egli fu uno scrittore prolifico ed autorevole; tra le sue opere più note vi è una sorta di manuale per confessori (la Summa de Casibus Poenitentiae). A questo e ad altri scritti deve probabilmente riferirsi l’attributo delle chiavi, delle quali nella tela cercese il Santo diventa simbolico custode, ponendosi come una sorta di San Pietro in vesti domenicane. Secondo il Vangelo di Matteo, Cristo si rivolse a Pietro e agli altri apostoli con queste parole: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 18-19); «In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo» (Mt 18,18). Tali parole furono poste a fondamento del cosiddetto “Potere delle Chiavi”, dal quale furono fatte derivare la legittimità della remissione dei peccati e la stessa autorità ecclesiastica. Le chiavi di San Raimondo potrebbero dunque rappresentare proprio questo “Potere”.    

 

Opere lignee

Statua Madonna della Libera

La statua, alta m 1,35, si trova collocata nella nicchia realizzata verso la fine degli anni cercemaggiore santuario smaria della libera-statua madonna della libera3_hidSettanta del secolo scorso sul settecentesco altare maggiore. Gli studiosi datano la bella scultura al primo ventennio del Trecento. La Madonna è stante, con le mani che mostrano i palmi sui quali è dipinta la croce, una croce analoga è dipinta sul collo. Indossa la tunica legata in vita da una cinta alta, e il mantello, che risale sul davanti con un lembo a risvolto. In legno, tutt’uno con la statua, è anche la corona in testa che tiene ferma una corta mappa bianca decorata con motivi geometrici. Posa su una semplice base di legno il cui bordo è decorato con un motivo a “x”. I colori attuali non sono quelli originali ma sono comunque molto antichi, risalgono al XV secolo e sono relativi ad una ridipintura della statua con l’intenzione di impreziosirla ulteriormente; la tunica, difatti, è blu con stelle dipinte in oro, il mantello è d’oro con risvolto rosso. Questa statua, che si impone per la bellezza dell’incarnato, l’eleganza e la semplicità della figura, viene inquadrata dagli studiosi nel contesto culturale francesizzante dell’Italia meridionale in epoca angioina, che produsse opere di gusto gotico d’oltralpe specialmente tra Umbria, Abruzzo e la stessa Napoli. Dora Catalano, tra gli studiosi che hanno approfondito la statua di Cercemaggiore, scrive che “la Vergine orante è opera prodotta in uno degli ateliers presenti nell’area abruzzese o meglio marchigiano-abruzzese, ma non assimilabile per esiti formali al ben noto gruppo di sculture del Maestro della S. Caterina Gualino. Se la costruzione sintetica dei volumi e la resa grafica dei panneggi permette di accostare la Vergine di Cercemaggiore alla S. Balbina del Museo Nazionale dell’Aquila, ancora più interessanti sono le concordanze, soprattutto nel trattamento tipologico del volto, con un’altra scultura abruzzese, la famosa Madonna giacente della chiesa di S. Maria Assunta di Assergi”. Questa tipologia iconografica, sostiene ancora Catalano, è di particolare interesse: si tratta di una rilettura in chiave moderna di una iconografia mariana, la Vergine orante, affermatasi in ambito bizantino.    
 

San Vincenzo Ferrer

La statua è collocata nella nicchia della quarta cappella sinistra, dedicata al Santo spagnolo, dell’Ordine dei Frati Predicatori, vissuto nella seconda metà del Trecento. Il Santo è raffigurato con l’abito bianco-nero del suo Ordine, con il dito destro sollevato in alto, in segno di ammonimento, e la mano sinistra che regge un lembo dell’abito, mentre sul capo brucia una fiamma ardente e dalla schiena spuntano due ali (appena percettibili nella visione frontale della statua perché coperte dal rigoglioso abito domenicano). San Vincenzo Ferrer è dunque rappresentato come angelo dell’Apocalisse in riferimento alle sue veementi predicazioni, nelle quali invitava alla conversione e alla penitenza, annunciando l’incombere del Giudizio Universale. L’autore di quest’opera lignea è stato l’artista campobassano Paolo Saverio Di Zinno (1718-1781), l’autore dei più famosi “Misteri”, i “quadri viventi” che sfilano a Campobasso nel giorno del Corpus Domini. Di Zinno fu autore di numerose opere lignee per le chiese molisane (ma non solo). Il San Vincenzo Ferrer di Cercemaggiore fu realizzato attorno alla metà del Settecento (erronea, invece, sembrerebbe la datazione riportata dal Pierro, che la indica come opera del 1532).

 

Il Coro

Il coro del santuario di Cercemaggiore è realizzato in legno di noce intagliato e misura poco meno di cinque metri per circa otto. La forma è a C, con 13-cercemaggiore-santuario s maria della libera coro_hiddue file di sedili; per accedere alla fila superiore vi sono tra scalette, una al centro del lato di fondo, e due all’inizio delle parti laterali. Gli stalli sono diciassette nella fila superiore (cinque per parte ai lati, sette sul lato di fondo, di cui quello centrale è lo stallo principale, sormontato da un baldacchino); altri dieci stalli sono nella fila più bassa. Ogni stallo è decorato con lesene sormontate da capitelli compositi, bellissimi i braccioli decorati da volute. Quest’opera, sottoposta ad accurate operazioni di restauro, si presenta in buono stato di conservazione; è pregevole nella sua sobrietà; si tratta di artigianato locale (se non cercese, molisano senz’altro). L’ignoto artigiano che lo realizzò si ispirò molto probabilmente ad analoghe opere della Campania, che si datano al Settecento. Anche il nostro coro potrebbe trovare analoga collocazione cronologica, forse verso la fine del XVIII secolo.  
 

Portone principale

Il portone non presenta particolari caratteristiche artistiche ma si distingue per la sua funzionalità e resistenza che ha permesso il suo uso per oltre due secoli. È a doppio battente, con portoncino centrale, anch’esso a doppia anta. All’esterno si mostra rivestito di lamine di metallo fissate mediante file di borchie, come spesso si usava per proteggere il legno dagli agenti atmosferici. Di forma semplicissima, ha la particolarità di avere incisa a numeri molto ben evidenti la data di realizzazione: A(nno) D(omini) 1787.   
 

Organo

Si trova collocato nell’apposita tribuna che sovrasta l’ingresso. Esso ha subito nel corso del tempo molte trasformazioni ed aggiunte di svariati elementi 19-cercemaggiore-santuario s maria della libera organo_hidprovenienti dall’organo del santuario di Madonna dell’Arco di Napoli, che ne hanno compromesso pesantemente la fisionomia originaria. Il prospetto è tripartito mediante lesene e decorato con elementi vegetali sia al centro in alto che lateralmente. La cantoria originaria presentava un parapetto reticolato decorato con festoni floreali, sostituito nel 1860.
Recentemente l’organo è stato sottoposto ad un’opera di “epurazione”, con l’eliminazione di tutti gli elementi laterali riconosciuti come aggiunte posteriori e puramente ornamentali. In tale occasione sono stati sostituiti anche il tamburo d’ingresso e il soprastante parapetto della tribuna dell’organo, realizzati in legno di castagno con specchiature lisce.  
 

Porta che collega la chiesa con la sacrestia

La porta misura in altezza poco meno di due metri e in larghezza 85 centimetri, è a due battenti, ognuno dei quali si presenta scandito in riquadri di varie 16-cercemaggiore-santuario s maria della libera  porta di accesso allanticamera della sagrestia_hiddimensioni: nei riquadri maggiori, che sono sei e sono di forma quadrata, si trova, al centro di ciascuno, una rosetta. La porta non ha altri elementi decorativi, è sobria ed elegante, particolarmente pregevole. Ricorda molto da vicino la porta della Collegiata di Solofra, che suggerisce analoga datazione anche per la nostra porta: il XVII secolo. Sappiamo che nel XVII secolo c’erano rapporti tra i monaci domenicani di Cercemaggiore e Solofra. Una porta analoga, probabilmente della stessa epoca, è quella che immette nella sacrestia; anch’essa divisa in scomparti rettangolari.  
 
 
 

Mobile della sacrestia

17-cercemaggiore-santuario s maria della libera sagrestia bancone ligneo di giuseppe bruno 1773_hidBellissimo e ancora perfettamente funzionale è il mobile della sacrestia, diviso in innumerevoli scomparti, con fronte abbellita da intarsi. Tra le tante curiosità, alcune tecniche, altre estetiche, colpisce la presenza di una iscrizione in lingua latina incisa su sette linee proprio al centro del mobile, a cavallo tra due battenti: Durum sed levius fit / patientia quidquid / corriGere / est nefas / Fra Joseph / Bruno fec / an D 1773. Ossia: È duro ma diventa più facile con la pazienza correggere qualunque cosa iniqua. Fra’ Giuseppe Bruno, anno del Signore 1773.
 
 
 
 
 
 
(a cura di Angela Di Niro con  integrazioni di Valentina Marino)
 
BIBLIOGRAFIA: Angela Di Niro, Antichi tesori di legno nel convento di Santa Maria della Libera, in «Millemetri», n. 3, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, maggio-giugno 2010, pp. 38-40; Angela Di Niro, Arte e sacralità nei tabernacoli, in «Millemetri», n. 6, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, novembre-dicembre 2008, pp. 34-36; Angela Di Niro, Madonne, santi e benefattori in Convento, in «Millemetri», n. 6, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, novembre-dicembre 2010, pp. 36-39; Michele Miele, La Chiesa e il Convento di S. Maria della Libera di Cercemaggiore (CB), Napoli, Tipografia Laurenziana, 1980; Giordano Pierro, Storia del Santuario e del Convento S. Maria della Libera in Cercemaggiore, Napoli, Tipografia R. Batelli, 1924; Schede OA relative al convento Santa Maria della Libera di Cercemaggiore, Archivio della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise, Campobasso; Speciale S. Maria della Libera, Rivista «Millemetri», a. III, n. 4, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, agosto 2001; Stefano Vannozzi, Antichi frammenti, in «Millemetri», a. III, n. 4, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, agosto 2001, pp. 11-12; Stefano Vannozzi, I Marcucci. Una ricca famiglia di “locati” del XVII secolo, in «Millemetri», a. V, n. 5, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, settembre-ottobre 2003, pp. 31-32; Stefano Vannozzi, Le origini di S. Maria a Casale, in «Millemetri», a. III, n. 4, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, agosto 2001, p. 10; Stefano Vannozzi, Nomi e Cognomi. Le famiglie di Cercemaggiore nei secoli, Editore Associazione Millemetri onlus, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, 2008, pp. 125-128; Stefano Vannozzi, Una fontana per l’acqua santa, in «Millemetri», n. 1, Ripalimosani (CB), Arti Grafiche La Regione, gennaio-febbraio 2009, pp. 35-36.